Alle origini del talento di Di Maria, Kvaratskhelia e Dybala
Con l’esplosione degli argentini Di Maria e Dybala e con la definitiva consacrazione di Kvaratskhelia nel Napoli di Luciano Spalletti, nelle ultime settimane si è tornati finalmente a parlare dei calciatori di maggior talento della Serie A. Cosa si intende per giocatore di maggior talento?
Si intende il vecchio numero 10, quello indossato solitamente da giocatori anarchici per definizione, quelli che ci fanno innamorare di questo sport perché in campo riescono ad esprimersi con totale libertà. Sono solitamente calciatori dallo spirito selvatico, indomito e spesso di strada. Sono i giocatori il cui istinto creativo è destinato in qualche modo sempre ad emergere e il cui talento non può essere insegnato, né tantomeno soffocato, ma solo accolto, liberato e forgiato.
Infatti, la bellezza del calcio non è data dal numero dei goal segnati o dalle percentuali di possesso palla, ma dalle giocate che sono in grado di toglierti il fiato e lasciarti letteralmente spiazzato. E chissà se anche Lucio Dalla pensava al talento, quando omaggiò il pensiero in “Com’è profondo il mare”.
“È chiaro che il pensiero dà fastidio
Anche se chi pensa è muto come un pesce
Anzi un pesce
E come pesce è difficile da bloccare
Perché lo protegge il mare
Com’è profondo il mare
Certo, chi comanda
non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare
Non lo puoi recintare”
L’infanzia di Di Maria
Angel Di Maria, soprannominato el Fideo che deriva da “fidè“, nome dato dagli emigrati genovesi ad un tipo di spaghetto molto sottile, il “fidelino”, per l’appunto a causa del suo fisico longilineo, è nato e cresciuto a Pedriel, quartiere a nord-ovest di Rosario in Argentina. Figlio di un operaio nelle miniere di carbone, scopre il calcio grazie ad un medico che consiglia a sua madre di fargli fare sport per calmarne l”iperattività”. Cresce nel piccolo club El Torito e viene ceduto a 6 anni al Rosario Central in cambio di 26 palloni! É solo l’inizio di una lunga favola che lo vedrà conquistare l’Europa e il Mondo intero.
La forza del Fideo sta proprio nella solidità delle sue radici, rappresentate dalla bicicletta, la bandiera di Rosario e la famiglia. Graciela è la bicicletta che rappresenta tutte le opportunità che gli ha dato sua madre, quando lo portava agli allenamenti.
La bandiera di Rosario, portata in campo dopo ogni partita, rappresenta il posto dove ha passato l’infanzia e ha imparato a giocare a calcio, nonché un pezzo della sua amata Argentina.
Infine, il punto fermo, la famiglia, oggi rappresentata dalla moglie Jorgelina Cardoso e le due figlie.
L’infanzia di Kvaratskhelia
Kvaratskhelia è un figlio d’arte (suo padre è un ex calciatore), ma l’eccezionalità della sua storia risiede nel fatto che sia cominciata in una nazione che non vanta una tradizione calcistica molto forte, come quella europea o sudamericana per intenderci. Cresciuto quasi esclusivamente con la mamma, ha dato i primi calci ad un pallone in un campetto sotto casa, dove in molti si fermavano ad ammirarlo.
Ha iniziato la carriera nella Dinamo Tbilisi e nel Rustavi in Georgia, per poi passare al campionato russo nella Lokomotiv Mosca e nel Rubin Kazan. Nonostante un’infanzia fortunata, la vita di Kvara sembra scandita dalla guerra: nell’agosto del 2008 l’esercito russo conquista la città di Gori, a pochi chilometri da Tbilisi, città natale di Khvicha, dopo dodici lunghissimi giorni di marcia verso la capitale.
Nel 2022 invece, nel momento dell’ascesa con il Rubin Kazan, scoppia la guerra Russia-Ucraina ed è così costretto a rientrare in Georgia presso la Dinamo Batumi. Da buon danzatore georgiano, oggi è la perfetta antitesi dell’atleta-soldato tipico del vecchio calcio sovietico.
L’infanzia di Dybala
Anche nelle vene della Joya, il “gioiello”, scorre il sangue di emigrati in Argentina. Suo nonno era polacco ed emigrò in sudamerica a causa della seconda guerra mondiale, mentre sua nonna materna era italiana, di origini napoletane. Dietro il suo successo c’è il desiderio di un padre che sognava ad ogni costo di avere un figlio calciatore.
La sfortuna però, vuole che papà Adolfo venga a mancare prematuramente e Dybala, a soli 15 anni, si chiude nel collegio del club tanto da essere soprannominato “El Pibe de la pension”. Tuttavia, sempre nel nome del padre, riesce ad esplodere e a mettersi in mostra al Instituto de Còrdoba, tanto da far innamorare Zamparini che lo porta immediatamente a Palermo.
Fuori dal campo sacrifici e disciplina, ma in quel rettangolo verde, la chance di poter esprimere liberamente tutto il proprio talento!