“Due memorabili ore di calcio istintivo”. Così come all’Azteca…
“Non fossi sfinito per l’emozione, le troppe note prese e poi svolte in frenesia, le seriazioni statistiche e le molte cartelle dettate quasi in trance, giuro candidamente che attaccherei questo pezzo secondo i ritmi e le iperboli di un autentico epinicio. Oppure mi affiderei al ditirambo, che è più mosso di schemi, più astruso, più matto, dunque più idoneo a esprimere sentimenti, gesti atletici, fatti e misfatti della partita di semifinale giocata al Lusail Stadium, ehm, all’Azteca dalle nazionali d’Italia e Germania…
Italia – Germania è giusto di quelle partite che si ha pudore di considerare criticamente. La tecnica e la tattica sono astrazioni crudeli. Il gioco vi si svolge secondo meno vigili istinti. Il cuore pompa sangue ossigenato dai polmoni con sofferenze atroci. La fatica si accumula nei muscoli male irrorati….
Ho sempre in mente di aver cercato invano di capire come siano andate realmente le cose nella finale mondiale 1934. Nessun cronista italiano aveva visto: tutti avevano unicamente sentito. Ora mi terrorizza l’idea che qualcuno debba scorrere un giorno questo articolo senza capire né poco né punto come si sia svolta la memorabile semifinale Italia – Germania dei Mondiali 1970”.
Un estratto di Gianni Brera, dall’articolo intitolato “Due memorabili ore di calcio istintivo” scritto all’indomani della partita del secolo a Messico 1970 finita 4-3 per l’Italia.
La partita del secolo n° 2
Al termine dei tempi supplementari della finale del mondiale 2022, sul punteggio di 3-3 (doppietta di Messi e tripletta di Mbappé), ai telecronisti sfugge un’esclamazione: “La partita del secolo”. Brera diceva che la partita perfetta finisce 0-0, quella a cui abbiamo assistito, non lo è stata affatto. Anzi, è stata l’elogio della forza caratteriale e della tecnica, che come valanghe hanno sepolto qualsiasi altra cosa che non fosse pari merito potente e determinante, a cominciare dagli schemi. Proprio quegli stessi schemi che per anni Adani ha chiesto insistemente ad Allegri… Come se qualcuno già sapesse che la cronaca di questa partita non fosse per i fissati per gli schemi.
Due memorabili ore di tecnica, istinto e fame
Tutto è cominciato con le lacrime di commozione del c.t. Scaloni nella conferenza stampa pre-partita. Poi la partita la apre Messi su calcio di rigore conquistato da Di Maria, dopo 13 minuti Angel raddoppia, aveva deciso anche l’ultima Coppa America (l’unica di Messi) ed io sono pronto ad intitolare “Il Mondiale di Messi lo decide Di Maria”. Poi improvvisamente entra in scena Mbappé e in un minuto fa doppietta, mentre dopo la sostituzione (no sense) di Di Maria, Messi rapidamente si squaglia e scompare dai radar cerca leader.
Per i tempi supplementari nell’Argentina entra Lautaro Martinez, il quale sbaglia l’inverosimile, ma suona la scossa e gli astri sembrano di nuovo combinati a favore dell’Albiceleste, tant’è che una ribattuta del portiere Lloris finisce proprio sul destro della Pulce. Quando mai Messi segna su tap-in (e non sembra certo un goal di rapina)! Ma Mbappé ormai è in una trance totale, ha raggiunto quel livello di super uomo in cui trance emotiva e consapevolezza si incontrano nello stesso punto. Tutti in campo sembrano rimpiccioliti al suo cospetto. Mbappé è spaventosamente padrone di ogni suo gesto istintivo. Pazzesco, conquista e trasforma il rigore del 3-3 e sceglie la finale del mondiale per dimostrare al mondo che a livello individuale, in questo momento, non c’è storia: il più forte è Kylian!
Al di là di Messi
Dunque Argentina e Francia vanno ai calci di rigore, il primo a battere per l’Argentina è Messi, il primo della Francia è Mbappé. Segnano entrambi, tripletta per l’uno, addirittura quadripletta per l’altro. Ma adesso devono farsi da parte, Goku contro Vegeta è finita. E allora mi viene in mente la parata fuori di testa di Emiliano Martinez ai tempi supplementari, la dedizione e l’attrazione fisica verso la coppa con cui l’Argentina ha combattuto su ogni pallone per affidarlo a Messi, Di Maria decisivo nelle finali, Di Maria in lacrime prima di gioia, poi di paura e poi di gioia in panchina, e mi torna in mente anche la prestazione orribile, in realtà assente della Francia.
Mi rendo conto che la partita non è stata tra Messi e Mbappé, ma abbiamo visto l’Argentina + Messi contro Mbappé. Ai calci di rigore Emiliano Martinez ci mette del suo, è attratto dalla coppa e sulla linea di porta si inventa un balletto alla Dudek, i rigoristi francesi sbagliano. E ora che Mbappé non può fare più nulla, è chiaro qual è la squadra più forte del mondo. Il mondiale è dell’Argentina.
Ha vinto l’Argentina con Messi e non l’Argentina di Messi
E così, anche in occasione del mondiale delle polemiche costruite fino all’ultima foto, il calcio ancora una volta è riuscito a regalare una metafora, che ci riporta alle regole primordiali, quelle della strada maestra. Non sempre il maschio alfa è il più forte, spesso il leader è chi è riconosciuto come tale. Se ci pensate, a vincere il mondiale per la prima volta nella sua carriera è stato il Messi più normale di sempre, nessun eurogol della Pulce in Qatar! E anche questa Argentina non era certo la più forte degli ultimi 36 anni.
Non è un caso che la Pulce abbia vinto quando ha smesso di avere i tratti dell’extraterrestre. Messi ha vinto quando la sua condizione atletica lo ha convinto che per vincere serviva farsi uomo tra gli uomini. Doveva farsi riconoscere come leader, non come risolutore isolato nel suo meraviglioso mondo di geometrie invisibili agli altri. L’Albiceleste così lo ha riconosciuto, protetto e allo stesso tempo innalzato al ruolo di Re Lionel, trascinandolo alla vittoria verso cui chiedeva di essere guidata.
Nel cartone animato Re Leone, ad un certo punto, il saggio Rafiki ad un certo punto gli dice:
Messi e l’Argentina, a modo loro, hanno imparato. In fondo, era ciò che avevamo scritto nel nostro articolo di apertura su Qatar 2022: